Certamente ad ognuno di noi sarà capitato di dover vendere o comprare un bene immobile e dunque, con molta probabilità, di dover sottoscrivere un contratto preliminare di compravendita, propedeutico alla sottoscrizione di un contratto definitivo.
In alternativa, potrà esser capitato a molti noi di concludere un contratto di compravendita c.d. “ad effetti obbligatori”, ovvero con consegna della cosa acquistata in un tempo successivo a quello in cui si conclude il negozio per sottoscrizione dello stesso.
Ebbene, in tal ambito sicuramente avrete sentito parlare – o magari l’avrete anche inconsapevolmente pattuita- della c.d. “caparra confirmatoria”.
Nonostante possa ritenersi un istituto di diritto quasi scontato, soprattutto nelle pratiche di compravendita immobiliare, la caparra confirmatoria ha una natura molto più complessa di quanto appaia in prima battuta.
Partendo dal dato normativo che la disciplina, l’art. 1385 c.c. statuisce che “Se al momento della conclusione del contratto una parte dà all’altra, a titolo di caparra, una somma di danaro o una quantità di altre cose fungibili, la caparra, in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta.
Se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l’altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra; se inadempiente è invece la parte che l’ha ricevuta, l’altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.
Se però la parte che non è inadempiente preferisce domandare l’esecuzione o la risoluzione del contratto, il risarcimento del danno è regolato dalle norme generali.”
Interpretando la disposizione di legge, possiamo affermare che la funzione della caparra confirmatoria, ovvero di questa somma data a titolo di garanzia del buon esito del negozio contrattuale, sia triplice:
- di conferma del contratto;
- di anticipo parziale della prestazione;
- di indennizzo preventivo per l’eventuale inadempimento.
L’attuale Codice Civile prescrive che a titolo di caparra si possa dare un qualsiasi bene determinato e fungibile: va da sé che gli usi moderni ed il buon senso pratico implichino che tale bene sia una determinata somma di denaro, pattuita come caparra, sovente imputata anche a titolo di acconto del maggior prezzo dovuto quando espressamente pattuito dalle parti.
Ciò che conta, però, è che la caparra venga data direttamente alla controparte contrattuale; infatti, se la predetta somma è affidata ad un terzo, non si tratterà di caparra, ma di deposito cauzionale.
E’ quindi evidente come, sebbene triplice, la funzione della caparra confirmatoria sia essenzialmente una sola: quella di garantire il buon esito del contratto in cui viene pattuita e in relazione al quale viene corrisposta.
Il venditore, che la percepisce, fa ragionevolmente affidamento sul buon esito dell’acquisto da parte del compratore, che gli ha corrisposto già una somma di danaro da imputarsi al maggior prezzo di vendita; il compratore, da far suo, corrispondendola, è sicuro di tutelarsi nei confronti di un eventuale inadempimento o illegittimo recesso del venditore, il quale dovrà, in caso di mancata esecuzione della propria obbligazione, corrispondere una somma pari al doppio della caparra versata, a titolo di risarcimento del danno per aver violato i doveri di lealtà e corretta esecuzione del contratto.
Una garanzia, dunque, per entrambi i contraenti. Ma vagliamone gli effetti giuridici.
Anzitutto, si ha il passaggio di proprietà della somma o della quantità di cose fungibili, data a titolo di caparra, somma o quantità che esce dal patrimonio di chi la corrisponde ed entra in quello di chi la riceve.
In secondo luogo, la caparra determina una riduzione corrispondente dell’obbligo del debitore, che concede a titolo di caparra una somma che poi, ove pattuito contrattualmente, verrà detratta dal prezzo complessivo dell’acquisto, senza che decorrano interessi né per l’una né per l’altra parte contraente; tale detrazione è espressamente prevista al 1° comma dell’art. 1385 c.c..
In terzo luogo, la caparra genera l’obbligo a carico di chi la riceve di versare somma eguale alla parte contraria che adempie con una prestazione dalla quale la caparra non si può detrarre, eseguendo, per esempio, una obbligazione di dare.
In quarto luogo, la caparra genera, a carico della parte che l’ha ricevuta, un’obbligazione condizionata, consistente nel dovere di restituire un ammontare eguale a quello della caparra, se il contratto si scioglie per forza maggiore, o generalmente parlando, per impossibilità totale sopravvenuta, ai sensi dell’art. 1463, ovvero, se il contratto si scioglie per mutuo consenso. Invero, data l’accessorietà della caparra, in questo caso i1 versamento fatto perde la sua causa, diventa indebito e quindi soggetto a restituzione.
In quinto luogo, la caparra genera, a carico della parte che l’ha ricevuta, un’obbligazione condizionata, per l’ipotesi in cui la parte stessa sia inadempiente, e la parte contraria, esente da colpa, voglia, per tal motivo, recedere. In tal caso la parte inadempiente deve subire il recesso e versare alla parte recedente un ammontare doppio della caparra avuta, restituendo in tal guisa quello che ha ricevuto inizialmente e sborsando un’egual somma, quale indennizzo per il recedente.
In sesto ed ultimo luogo, la caparra genera, a favore di colui che l’ha ricevuta, diritto di recedere, trattenendo la somma avuta, se la parte avversa è inadempiente. Così dispone l’art. 1385, a proposito di questo effetto, che è il più importante di tutti. Giuridicamente questo si intende come un diritto di recesso accordato dalla legge alla parte che non è in colpa, con la risoluzione di ogni obbligo di versare alla parte contraria l’ammontare eguale a quello della caparra. Si tratta di un diritto subordinato alla condizione sospensiva dell’avversario inadempimento, come indennizzo globale che la caparra ha la precipua funzione di assicurare.
Si noti ora che i recessi da ultimo menzionati, a tutela vicendevole dei due contraenti in caso di inadempimento di uno di essi, sono a loro volta facoltativi, perché la parte che vi ha diritto può rinunciarvi e chiedere, invece, o l’esecuzione o la risoluzione del contratto, secondo le regole ordinarie, come disposto dall’ultimo comma dell’art. 1385 c.c..
Chiariti dunque i connotati dell’istituto e le molteplici funzioni cui è preposto dall’Ordinamento, passiamo a delle considerazioni di carattere più pratico, cercando di capire cosa convenga fare nel caso in cui, nell’ambito di una trattativa d’acquisto, la nostra controparte si renda inadempiente alla finalizzazione del negozio e dunque al trasferimento del diritto di proprietà da noi desiderato.
In altri termini, potremo limitarci– a seconda del fatto che siamo l’acquirente o il venditore – a ritenere la caparra ricevuta (venditore) semplicemente e senza null’altro pretendere, o a richiedere la restituzione del doppio della stessa (acquirente), come dapprima consegnata al venditore, oppure potremo ottenere maggior risarcimento per il danno eventualmente patito a cagione dell’inadempimento della controparte?
La tutela per l’avverso inadempimento, che ricordiamo deve essere colpevole e grave (art. 1218 e 1256 c.c.), può essere solo alternativa: agire secondo quanto disposto dal co. 2 dell’art. 1385 c.c., ovvero con la ritenzione della caparra o la richiesta del doppio della stessa a seguito dell’esercizio del diritto di recesso legalmente previsto, oppure agire per la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno a causa del grave inadempimento di controparte ai sensi degli artt. 1453, 1455 e 1456 c.c..
Su tale alternatività, si è più volte pronunciata la Corte di Cassazione, da ultimo con la sentenza n. 2969 del 31.01.2019 e Cassazione Civ. Sez. II, Ordinanza n. 20532/2020.
In altri termini, si tratta di una scelta, quella fatta dalla parte non inadempiente, tra due diversi interessi concreti: il solo fatto dell’inadempimento qualificato, come detto, fa sorgere in capo al contraente che l’ha subito la possibilità di sciogliere (attraverso il recesso) il rapporto negoziale e di ottenere la caparra, laddove pattuita e corrisposta: quest’ultima assolve alla evidente funzione di preventiva liquidazione del danno subito da una parte a causa dell’inadempimento dell’altra, accostandola, sotto tale profilo, alla clausola penale, di cui condividerebbe l’aspetto sanzionatorio.
Quindi, la caparra confirmatoria rappresenta la predeterminazione del danno patito dalla parte non inadempiente, con l’ulteriore vantaggio per la stessa di non dover fornire la prova dell’entità del vulnus patito perché già preventivamente quantificato e stabilito (art. 1385 co. 2 c.c.). Sapranno già i contraenti che, in caso di inadempimento del compratore, il venditore avrà diritto a ritenere la caparra, mentre, in caso di inadempimento del venditore, costui dovrà corrisponderne il doppio dell’importo all’acquirente.
E’ di tutta evidenza che la scelta di esercitare il diritto di recesso legale, soprattutto nei casi in cui il recedente è colui che ha ricevuto la caparra, potrebbe essere più vantaggiosa, permettendo una composizione spedita, senza gravosi oneri probatori in ordine alla quantificazione dei danni concretamente subiti, rispetto a quella diretta ad ottenere la risoluzione contrattuale per via giudiziale.
Va considerato, però, che la seconda delle due opzioni, al netto delle possibili lungaggini di un giudizio di merito, garantirebbe il risarcimento dell’intero danno effettivo, che potrebbe essere maggiore alla misura della caparra confirmatoria, ma anche inferiore perché il creditore potrebbe non riuscire a dimostrare l’integralità del danno.
Trattasi, all’evidenza, di una scelta che deve essere ponderata ed effettuata sulla base degli elementi di prova che la parte ha a propria disposizione.
Se si decide di agire per la tutela risarcitoria offerta dall’istituto della risoluzione contrattuale per grave inadempimento, oltre a dover promuovere una domanda giudiziale che accerti e dichiari l’avverso colpevole e grave inadempimento, bisogna spendersi per fornire adeguata prova del quantum debeatur, ovvero dell’entità economica del danno e quindi dell’ammontare della pretesa.
Oltre alle difficoltà tecnico-processuali in ordine all’osservanza dell’onere della prova in tal caso prescritto dall’art 2697 c.c., ci si rimette interamente all’alea di un giudicato che potrebbe anche liquidare una somma inferiore a quella richiesta dalla parte non inadempiente o, addirittura, portare a nulla se il giudice dovesse ritenere che non insistano i requisiti previsti dal combinato disposto di cui all’art. 1453 e ss c.c..
Pertanto, la scelta tra l’uno o l’altro mezzo di tutela dovrà avvenire compiendo un ragionamento di mera opportunità: se abbiamo un corredo probatorio talmente solido da poter ragionevolmente confidare nel buon esito del giudizio di risoluzione, allora possiamo tentare la via del risarcimento più cospicuo con la risoluzione contrattuale; in alternativa, converrà rimettersi alla tutela offerta dall’art. 1385 co. 2 c.c., ovvero alla sicurezza della caparra confirmatoria, trattenuta da chi l’ha ricevuta in caso di inadempimento del compratore o da restituirsi al doppio se inadempiente è il venditore.
In termini pratici, la tutela offerta dalla caparra confirmatoria rappresenta una facilitazione processuale, poiché attivabile tramite un semplice ricorso per ingiunzione di pagamento ex art. 633 c.p.c. fondato sulla lettera contrattuale.
L’ovvio consiglio è di consultare il Vostro Legale di fiducia prima di pattuire e corrispondere la caparra confirmatoria, nonché al momento di vagliare le forme di tutela processuale più opportune in caso di inadempimento dell’altro contraente.
AVV. ANDREA CUOMO